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Visualizzazione dei post da 2011

Contro la prepotenza del cocomero

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Nei lontani e ridenti anni universitari, quando la musica principalmente significava per me Punk e New Wave , bisognava sorbirsi i sorrisetti di scherno e superbia dell'indieboy (di indiegirl sempre troppo poche...) di turno, che puntualmente tirava fuori un misterioso (per il sottoscritto) trio norvegese, il cui talento assoluto, l'induscutibile tecnica e la capacità di anticipare i tempi erano – a suo dire - la pietra di paragone per giudicare la qualità di un gruppo. Considerando la mia istintiva repulsione per il prog, i gruppi troppo prolifici e l'inquietante ritratto che campeggia sulla copertina di let them eat cake, tale e quale al bastardo che anni dopo mi darà una pista in piscina, me ne ero sempre tenuto alla larga. Questo fino a quando in una trasferta nerdica, un mio amico mette su black hole/black canvas. Che non sarà considerato un capolavoro dai pitchforkiani più incalliti e che magari non anticipa un tubo nel suo incedere classicamente psic

Any Dear June

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Colonna sonora perfetta per le infami imprese di Big Albert e della sua gang di sciagiurati, la musica di Hugo Race , altro transfuga dalla corte del re inchiostro. Meno raffinato di Barry Adamson , l'australiano condivide con l'ex bassista dei Magazine una passione morbosa per le storie oscure. E se il primo preferisce lavorare di fino con stiletto e rasoio, il secondo ci da allegramente giù di mannaia e martello. Come in questa Makes Me Mean , fumosa ballad da locale di quart'ordine da qualche parte giù al porto, mentre si trangugiano rabbia e bourboun. Storie per non dormire, ma tanto gente che si da il nome di battaglia di Prugne Elettriche, il sonno non ce lo ha mai avuto. Lo testimonia la celeberrima I had too much to dream , chicchetta gemmata per antonomasia. Jim Lowe canta disteso a pancia in su sul letto, le mani afferranno i bordi in una morsa convulsa, mentre il sudore scivola copioso. Non sono fatte di carne di fanciulla le fugaci visioni che scacciano morfe

LEI E' IN RITARDO, RADIOCARLONIA!

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Un accordo metallico ripetuto mesmericamente, mentre si è sul punto di scattare, verso il vuoto o la gola di qualcuno, con il coro timido della Parker che non fa altro che aumentare il disagio complessivo . Whitetail dei Low è la scarna fotografia dell'istante prima dell'azione - i nevitabilmente tragica. Ma d'altronde è nel trauma che si trova l'ispirazione come ben sanno i Dead Can Dance , che al tempo del reame di un sole morente incidono uno dei loro massimi vertici creativi. Le campane suonano a festa -funebre ovviamente - i tamburi battono marziali gli ultimi istanti di vita della stella, e la Gerrard, sovvrapponendo su nastro più incisioni del suo stesso canto, libera quella meravigliosa batteria anti-aerea che è la sua voce, controllata furia ad esaltare quella musa chiamata distruzione . Quando sul finale irrompono i fiati, dubbi non c'è sono. Sarà b uio e freddo per molto tempo. Condizioni ideali su cui si muove Barry Adamson, già bassista di M

Faster, RadioCarlonia, Kill! Kill!

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La necessità di andarsene via è soffocante, e si prova a farlo silenziosamente, sull’incedere di arpeggi matematici che si intersecano ad un drumming soffice e ad arabeschi di archi tinti di inchiostro, perché sarà pure il posto più bello sulla terra, ma, come sussurra Jeff Mueller con la più crudele dolcezza, “ La tua ora è venuta/Il tuo giorno è finito”. Tuttavia, che si provi a fuggire da una relazione putrescente o dalla provincia più profonda, quel bridge alla Slint che dividono uno split con i Faith No More, presagisce plumbeo l’irrisolto tornare sui propri passi.   Rimane il dubbio di dove i June of ‘44 volessero andare. Magari in India, apertura col botto dell’esordio su lunga distanza degli Psychedelic Furs. Le ariose tastiere, pura essenza anni ottanta, vengono messe subito in disparte dal prepotente giro di basso, che fa scattare come una molla e trascina in una danza epilettica, mentre la voce di Richard Butler, la chitarre di John Ashton e il sassofono di Duncan Kilb

Kick her in the balls, RadioCarlonia!

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“Kick Her in the balls” incita belluino Wallace Wells, coinquilino gay e dandy, mentre Scott Pilgrim, è impegnato in uno scontro all’arma bianca con Roxie Richter , malvagia "ex" del male, da sconfiggere per poter coronare il suo sogno di amore con Ramona Flowers, solo momentaneamente omo ora etero convinta. Sembra complicato, in realtà la trama principale di “ Scott Pilgrim vs The world ” di Brian Lee O’Malley occupa, come ogni picchiaduro che si rispetti, il lato corto di una scatola di fiammiferi: per conquistare l’amata Ramona, Scott, bassista di uno sgangherato gruppo indie, deve battere, i di lei precedenti fidanzati, riuniti e capeggiati dal misterioso Gideon [1] e fermamente decisi a farli la pelle. Ciò che affascina del fumetto dell’artista canadese è il modo con cui la storia viene raccontata: un meltin-pot pop, omaggio dichiarato e incondizionato alla cultura nerd tutta, dove il fantastico, procedendo per iperboli, ci fa ridere come un bambino di otto anni, ma è

Prove Tecniche di trasmissione

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RadioCarlonia sbarca su Twitter. Appena capisco come, aggiungo il pulsante sul blog. Così invece che controllare notte e dì su http://radiocarlonia.blogspot.com/ per l'uscita di un nuovo post, adesso potete premere due volte al secondo su twitter. Per motivi tecnici posso pubblicare contemporaneamente solo quattro link delle compilazio scovate fortuitamente sulla rete: quindi affrettatevi a farle vostre, perché la meno recente torna in naftalina. Fino ai prossimi saldi di fine stagione.Ricordo inoltre che per fare vostre le raccolte soniche più cool del pianeta basta pigiare la scritta "Compilatio_X disponibile qui". Si apre un link di mediafire, attendete qualche secondo e quando appare il buttone "click here to start download...", cliccateci sopra senza indugio. Per inserire commenti, cliccate su "x commenti" , riempite lo spazio di "Posta un comment" con le vostre argute impressioni, quindi in "commenta come" selezionate OPEN_I